È vero che Stonehenge funzionava come una “sala per concerti”?
È una teoria recente. Secondo un team di ricercatori dell’Università di Salford, che ha trascorso quattro anni a studiare le proprietà acustiche dello storico sito inglese, lo spazio di Stonehenge reagisce all’attività acustica in un modo che doveva apparire incredibilmente nuovo alle persone che vivevano 5 mila anni fa: ricche vibrazioni e ampi riverberi che provocavano un suono inedito e impossibile da ascoltare altrove.
Per i Britanni del IV millennio a.C. si trattava di vivere una esperienza acustica simile a quella avvertita quando si cammina lungo una cattedrale: generando un suono nel sito, esso rimbalza e cresce, e non provoca un’eco, ma un effetto riverbero.
Per l’uomo del Neolitico doveva essere un’esperienza non solo sonora, ma soprattutto religiosa. Nella stessa direzione un’altra ricerca presentata al meeting della American Academy of Arts and Sciences, secondo cui la disposizione delle pietre riflette quella dell’illusione uditiva percepita.
Stando a questa ipotesi del professor Steven Waller, la configurazione del sito di Stonehenge potrebbe essere stata influenzata da un particolare effetto acustico, che si sente quando due flauti suonano insieme. In pratica, camminando intorno ai musicisti gli spettatori passavano da punti in cui la musica giungeva amplificata ad altri in cui calava il silenzio: nei coni d’ombra è come se un enorme oggetto invisibile schermasse il suono. E, secondo lo studioso, le pietre sarebbero state erette ricalcando questo schema.