Cos’è una foresta fossile?
È quanto resta di un’antica area boschiva perfettamente fossilizzata con i fusti ancora in posizione eretta e le radici conficcate nel suolo, o meglio nel paleosuolo (terreno antico che ha mantenuto immutate le sue caratteristiche grazie al seppellimento da parte di sabbia e detriti).
Esistono diversi ritrovamenti di questo tipo risalenti a diverse ere geologiche. Una delle più grandi conosciute (10 chilometri quadrati) è quella dell’Illinois, che è di tipo pluviale e risalente al Carbonifero superiore.
In Italia una delle foreste fossili più conosciute e meglio conservate è quella di Dunarobba, in Umbria, datata fra 3 e 2 milioni di anni fa (Pliocene). Scoperta negli anni settanta all’interno di una cava di argilla destinata all’edilizia, questo bosco preistorico è costituito dai resti di circa 50 gigantesche conifere dei genere Taxodion, un tipo di sequoia ormai estinto.
Dallo studio di questi reperti i paleontologi hanno potuto capire che l’area in passato era costituita da una zona paludosa sulle rive di un grande lago. Questo tipo di ambiente ha permesso il seppellimento lento e graduale delle piante che hanno mantenuto pressoché inalterate le caratteristiche del legno.
Altre famose foreste fossili si trovano in Val Cesano, tra Ancona e Urbino, a Zuri, in Sardegna, nell’alveo della Stura di Lanzo, in provincia di Torino e a Torre Ovo, vicino a Taranto, dove c’è l’unico sito sommerso di questo tipo.