Come sopravvivono i pesci dei mari polari alle basse temperature dell’acqua?
Si chiamano ice-fish, o per noi pesci ghiacciolo, e hanno sviluppato straordinarie caratteristiche di adattamento alle rigide temperature dell’oceano antartico (-1°, -2° C) che permettono loro di sopravvivere in un ambiente estremo.
Il sangue di questi pesci, infatti, è più voluminoso e totalmente privo di emoglobina e globuli rossi e, di conseguenza, appare bianco. Così si abbassa decisamente la viscosità del sangue e l’ossigeno, che a queste temperature è più solubile, vi circola in soluzione tramite una fittissima rete di capillari.
In aggiunta, sono privi di scaglie in modo da poter favorire una respirazione cutanea con ulteriore assunzione di ossigeno da parte dei capillari più superficiali. Il cuore è più grande e le branchie sono ben sviluppate e molto irrorate da capillari di diametro superiore al normale.
Tra le diverse specie di ice-fish (15 in tutto) la più nota ai ricercatori è Chionodraco hamatus che viene studiata anche in acquario. Un altro pesce ben adattato alle gelide acque polari è il silver fish (Pleuragramma antarcticum) che produce tramite il pancreas delle glicoproteine antigelo (costituite da tre aminoacidi legati a una molecola di zucchero) che impediscono la creazione di cristalli di ghiaccio nel sangue e nei tessuti in quanto abbassano di circa 1° C il punto di congelamento dell’animale.
Tutti i pesci antartici sono, inoltre, privi di vescica natatoria la cui funzione viene sopperita dalla presenza di uno scheletro più leggero, in parte cartilagineo, e dall’accumulo di grassi nei tessuti. Ciò rende il loro peso pressoché nullo nell’acqua e riduce molto il consumo di energia durante gli spostamenti.