Come avveniva il processo di mummificazione in Egitto?

Uno studio delle Università inglese di York e australiana di Oxford e Macquarie ha dimostrato che il processo di mummificazione artificiale era già in uso in Egitto 1500 anni prima di quanto si credesse, cioè già dal 4000 avanti Cristo.
Alla salvaguardia dell’integrità del corpo del faraone gli specialisti egizi si dedicavano per 70 giorni. Di fatto il punto cruciale era la disidratazione del corpo, perseguita con una cura da specialisti di anatomia: esso veniva lavato ripetutamente con sostanze speciali, poi iniziava la procedura relativa agli organi interni.
Si cominciava con l’estrazione del cervello attraverso il naso: con degli uncini di bronzo veniva prima sminuzzato e poi fatto fuoriuscire dalle narici.
Un’incisione sul fianco permetteva di estrarre gli organi deperibili, tranne i reni e il cuore, il quale era considerato sede di intelletto ed emozioni, e doveva essere pesato nell’aldilà per valutare i meriti e le colpe del re.
Polmoni, stomaco, fegato e intestini venivano lavati con vino di palma (il cui tasso alcolico neutralizzava i batteri della decomposizione), trattati con resine e oli aromatici e deposti in quattro vasi detti canopi, sagomati a testa di falco, babbuino, uomo e sciacallo.
A questo punto il corpo veniva ricoperto per 40 giorni di natron, un sale di sodio depositato dal Nilo, con alta capacità di disidratazione e utile per l’assorbimento dei liquidi organici.
Nell’addome potevano essere inserite bende, natron, segatura. Il corpo veniva ancora lavato con vino di palma e protetto con resine e oli che con il tempo si sono trasformati in una sostanza viscosa e infiammabile che agli Arabi dei secoli successivi ricordava il bitume persiano, che essi chiamavano “mumia“, da cui mummia.
Alla fine lo si fasciava con bende, tra le quali venivano inseriti amuleti e gioielli.